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Como, il rock degli artisti di strada: “Chi ci caccia è un fascista”. Butti: “Servono regole”

(In copertina: Marco Bottinelli, mangiafuoco)

È dicembre inoltrato. Turisti e residenti sciamano tra le strade di Como, intirizziti, avvolti in sciarpe e cappelli. Nonostante la temperatura, Valerio Papa, chitarrista di Milano, riesce a lanciarsi in una versione di Tender Surrender di Steve Vai.

“È un brano complicato anche al caldo. Con questo freddo spero di non avere problemi”, scherza con i passanti fermi ad ascoltare. Qualcuno gli ha portato un bicchiere di vin brulè.

“Il problema è che la città si sta saturando di artisti – ci spiega il ragazzo che suona per strada da sette anni e si esibisce spesso in città murata – La qualità si è alzata. Poi però ci sono quelli con i volumi troppo alti e che stanziano posti troppo a lungo”.

Valerio ha centrato il problema. La città è diventata una nuova Mecca dell’arte di strada, dando luogo a un intenso dibattito tra classe politica e cittadinanza.  Un nuovo regolamento, fermo da diversi mesi a Palazzo Cernezzi, punta a vietare le performance dentro e attorno a Piazza Duomo e imporre il totale divieto di amplificazione, limitando le esibizioni a massimo mezz’ora, all’interno di fasce orarie e e zone bene definite.

La difficile coesistenza tra città e arte è esemplificata da un sacerdote che all’inizio della messa in Duomo scaccia stizzito Eleonora, proprio sul finale di una canzone.

“Mi trovi in un momento di sconforto – ammette lei, caricando il suo amplificatore su un carrello – è tutto il giorno che continuo a spostarmi e non sono riuscita a cantare per più di cinque minuti. Da una parte c’è il tipo con il cane di sabbia, dall’altra i violinisti. Quelli che fanno breakdance sono poi i piùi nvadenti di tutti. Tutto sommato esibirsi a Como è semplice, a Milano ci si deve prenotare con settimane di anticipo per suonare un paio d’ore”.

Un regolamento, per ora, a maglie più larghe attrae gli artisti che fuggono da sistemi troppo rigidi. Michele dei Monday Moon, trio jazz di Milano che da anni suona a Como sotto le feste, spiega però che “certi paletti sono necessari per evitare un effetto fastidioso. L’idea di far audizioni per decidere chi può suonare e chi no è complessa, sperando che la commissione capisca qualcosa di arte di strada”.

Samuel Pietrasanta, partecipante del talent The Voice e artista prodotto da Raffaella Carrà, si esibisce spesso a Como ed è critico nei confronti della bozza di regolamento.

“In mezz’ora – dice – non avrei tempo per esibirmi. Perchè non inserire delle autorizzazioni a pagamento? In quel modo c’è scrematura tra chi si improvvisa artista e chi lo fa di mestiere. Sarebbe positivo per le casse del Comune, per i nostri diritti e per i cittadini”.

Di autorizzazioni a pagamento c’è bisogno, anche secondo Valerio Papa: “Se si mette una tassa sulle occupazioni di suolo pubblico si potrebbe aprire un fondo per pagare di più chi fa i controlli. In ogni caso, rimuovere l’arte di strada è fascismo”.

A stretto giro di posta, arriva la replica dell’assessore al Commercio Marco Butti.

“A breve esamineremo, con l’aiuto delle associazioni di categoria degli artisti, la possibilità di istituire un Albo di strada che permetta a chi davvero fa arte di esibirsi, limitando la presenza di chi finge o usa amplificazione eccessiva”.

L’assessore fa il punto sul nuovo regolamento in discussione. Obiettivo, normare l’attività: “Ci sarà una piattaforma online: chi si esibisce potrà prenotare spazi solo in alcune zone della città. Piazza Duomo rimarrà off-limits così come altre aree”.

Si preannuncia quindi un giro di vite sulle performance che a causa dei volumi troppo alti hanno creato problemi ai residenti. Butti specifica: “C’è la totale disponibilità a lavorare con gli artisti. L’idea non è limitare ma regolamentare”.

Il pezzo che avete appena letto è pubblicato su ComoZero settimanale, in distribuzione ogni venerdì e sabato in tutta la città: qui la mappa dei totem.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Un commento

  1. Commentare le esternazioni degli artisti è sempre ostico perché vivono in una sfera non parametrata a tutte le attività commerciali-industriali che conosciamo.
    Parlare del sostantivo “fascismo” pone gli interlocutori in uno spazio definito. Perché non dire anche “comunismo” ?
    Perché se con queste parole si intende soppressione libertà e democrazia, allora occorre valutare il fatto che per poche persone se ne debbano soverchiare molte altre ?
    Le regole ci sono e tutti le devono rispettare altrimenti sarà “anarchia”.
    Bene fa l’Assessore porre regolamenti che salvaguardino la libertà, non la restrizione.

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