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Fare (torte, sesso e telefoni) per fermare il declino. Marco e Violeta sfidano via Varesina

Ci eravamo lasciati il 13 aprile 2015 con questo titolo: “Via Varesina, cimitero silenzioso di vetrine e di speranze”. Era una fotografia triste quella che veniva dal tronco di città compreso tra via Lissi e via Badone, tra Rebbio e Camerlata. Negozi chiusi (era fresco l’addio dello storico Fornaio Beretta), serrande abbassate, poche speranze puntate sul domani. E all’orizzonte, l’apertura del gigante mangiatutto: l’ipermercato Esselunga, visto da molti come le fauci definitive per i piccoli accanto. E’ andata veramente così? Sì e no. Più no che sì.
Tornati sulla stessa strada oggi pomeriggio – con un occhio benevolo in partenza – abbiamo scoperto un mondo ancora fragile, fragilissimo, senza alcun dubbio, e però diverso. Anzi, un mondo vero e proprio. Vivo. In lotta, ma colorato. Ricco di speranza.

Non ci sono occhi più blu di quelli di Violeta a testimoniarlo. E’ lei, con il suo accento tinto d’Est, che ci accoglie dentro un sogno. Il suo. Si chiama “Red Velvet” e punta in alto. Non una pasticceria, ma un luogo dove si fa “art cake design”. Una “Pininfarina” delle torte, insomma.
“Ma forse abbiamo esagerato – dice Violeta, sorridendo timida – A volte entrano e chi chiedono: si mangiano? Sono troppo belli, qualcuno non crede che siano dolci”. Abbrivio per la domanda clou: come si sceglie un angolo di via Varesina – ben lontana dal teorico salotto buono della città – per proporre l’arte estrema delle torte? “Abbiamo provato, l’affitto era accessibile – dice stringendosi nei quadrotti della camicia – E’ una sfida. E’ difficile. Ma noi ci proviamo, anche se forse abbiamo puntato troppo in alto. Qui il quartiere è anziano, forse pensano che costi tutto troppo. Non è così, li convinceremo. Intanto si ferma chi passa e ci vede: da Cantù, chi viaggia verso Varese. Speriamo”. Viene da sperare, è vero.

Ma in una via che veniva data per morta solo due anni fa, la “boss delle torte” non è l’unica ad averci provato (da fine ottobre). Da qualche settimana in più – e pochi metri più in là – c’è Marco, 25 anni, con il suo negozio “TS Riparazioni”. Un’altra serranda strappata alla polvere. Qui dominano smartphone, tablet, cover e via dicendo.

“Perché qui? – risponde gentile tra un cliente e l’altro – Prima ero proprio alla fine della via, in un posto molto più piccolo. Poi ho trovato questo locale e mi son detto: ci provo, vado. Lo so che è una zona difficile, ma per ora teniamo. Va bene, tutto sommato. Il lavoro c’è. Piuttosto, mi preoccupano i lavori che dovranno fare nella zona”. Ed ecco spuntare da un armadietto carte tecniche, vecchi articoli di giornali, planimetrie degli interventi ancora da fare legati all’insediamento Esselunga a Camerlata. “Ma è vero che tolgono i posteggi qua davanti?”, chiede lui a noi. No, non tutti. Ne resterà una buona parte. “Ah ecco, quello è fondamentale”. Esci dal suo negozio, pensi al suo ottimismo e alla fine demolisci anche in te stesso molti luoghi comuni dati troppo presto per assodati (la fine dei negozi di vicinato, l’iper che divora tutto, i giovani che non vogliono lavorare ecc: temi reali ma non dichiarazioni di morte).


Ti guardi ancora intorno e vedi che questo piccolo paese ai bordi di Como che risponde al nome di via Varesina ti offre tutto, una vita intera volendo: le sigarette e il cinema Gloria, il parrucchiere e le scarpe da ballo, la panetteria e il ristorante vegano, l’edicola e il sexy shop completamente robotizzato. Un microcosmo in potenza autosufficiente. Un microcosmo di speranze che però, laggiù, dove nei palazzi arriva lo sciabordio del lago e gli arazzi  nascondono alla mente i marciapiedi di periferia, va sostenuto. E capito, prima di tutto. Prima dei luoghi comuni, soprattutto.

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