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Il gol di Bobby: fuga dalla Nigeria per una nuova vita a Como (e in Cittadella)

Quando Bobby Alozie è arrivato a Como, nel 2015, una delle prime cose che ha chiesto è stata dove trovare un campo da calcio.

Poche settimane prima era partito dalla Libia su un gommone malconcio con altre decine di profughi, scappando dalla regione nigeriana del Biafra dove le conseguenze della guerra civile terminata nel 1970 sono tutt’ora disastrose.
Attraversato il deserto su fuoristrada scadenti, era finalmente arrivato al mare. “Siamo partiti di notte. Ci hanno detto di tenere la barra del timone dritta. I soccorsi sono arrivati due giorni dopo – racconta l’uomo, ora 36enne – una volta in Sicilia ci hanno detto di andare a Milano e poi a Como”.

In una vita precedente, Bobby era stato un giocatore di calcio professionista in Nigeria e poi nella Professional League thailandese. Oltre a una carriera sportiva, l’Asia gli aveva dato una moglie e un figlio. A Como, nel 2015, invece era solo uno dei primi migranti in arrivo in città, prima dell’emergenza della Stazione San Giovanni.

“Sono stato a San Rocco, con la Caritas. Ho chiesto dove trovare un campo da calcio. Mi hanno indicato la Cittadella – ricorda ora, avvolto nel piumino della società per cui allena le squadre giovanili, sotto le luci bianche del campo di Como – ho cominciato a venire sempre più spesso, fino a che non ho incontrato Stefano”.

Stefano Ramaroli, presidente dell’Asd Cittadella, ricorda il primo incontro con Bobby: “Un giorno ci ha chiesto se poteva assistere i nostri allenatori, raccontandoci del suo passato da professionista. Non ci vuole molto per capire che Bobby non ha paura di lavorare. All’inizio ha aiutato i nostri allenatori più anziani e poi ha cominciato come coach per la squadra del 2001 e, quest’anno, per quella del 2003”.

Oggi, Bobby conta con cura il tempo passato dalla fine del suo viaggio attraverso l’Africa – tre anni e due mesi dall’arrivo a Como. Quando non lavora in una fabbrica di tessuti tecnici per l’agricoltura, è sempre in campo con la Cittadella.

In tasca, ha un documento che attesta il suo status di rifugiato politico. “Como mi ha dato tutto. Sono fortunatissimo – spiega sorridendo – oggi il mio sogno è continuare ad allenare per la Cittadella. Un domani, chissà, sarebbe bello essere in Serie A”.

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