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Pasqua in ospedale: l’attesa. Il Pronto Soccorso disperato diventa un campeggio

E’ giusto, anzi doveroso, premetterlo: nessuno qui, nella redazione di ComoZero, accusa ausiliari, infermieri o medici.

Anzi, tutto il contrario: si tratta di persone capaci di tripli salti carpiati per far funzionare un ospedale.

Quindi, al più, siamo dalla parte di chi, con gesto acrobatico, salva ogni giorno la tenuta del metodo, della qualità del servizio, della dignità del paziente e della vita.

Detto questo, l’osservazione – al netto delle immagini – è sul sistema sanitario, sulla cronica carenza di personale. E anche sull’eccessivo uso e consumo, spesso abuso, che taluni pazienti (aspiranti tali) fanno dei Pronto Soccorso. Il piccolo racconto fotografico arriva da chi, nel pomeriggio di Pasqua dopo un incidente in auto, è finito in emergenza con un reale e dolorosissimo problema (è successo al Valduce, via Dante, Como).

L’entrata al Triage verso le 18 e attesa infinita, non per codice bianco o verde ma per intasamento, fino alle 2 del mattino. Ore estenuanti che hanno trasformato il bisogno di cura in un lungo peregrinare, statico, quasi limbico, verso la meta.
Meta arrivata, prima o poi, per tutti. Come sempre il merito, vogliamo ripeterlo, è del personale.
E forse alcuni pazienti, almeno alla fine, avrebbero preferito (o dovuto) mettersi una pomata o un cerotto.
A casa.

Altri avrebbero meritato tempi diversi. E non è (solo) colpa degli altri in coda.

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