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Un tempo erano tutte botteghe. Storie da via Luini: i volti e le vite delle antiche vetrine

Via Luini è il fronte di separazione tra due ere, tra due realtà. Il passato delle floride attività familiari, nate ai margini di una delle due “vasche” di Como, dinastie imprenditoriali parte del tessuto della città.

COMO IN CATENE: TUTTI GLI APPROFONDIMENTI

E poi ci sono i nuovi arrivati, i grandi monomarca di abbigliamento e cibo, di mutande e pizza si potrebbe dire, che da diversi anni prendono il posto di negozi storici spinti, per diversi motivi, ad abbassare la serranda.

In un qualsiasi lunedì mattina la differenza è ancora più accentuata. Per i primi, è giorno di riposo e le vetrine sono buie. Per i franchising che contano organici freschi e pasciuti, è solo un’altra giornata per raggiungere i target di vendita.

Questa è la realtà di via Luini, sospesa tra moderno e postmoderno, teatro di un cambiamento che ha alterato, negli anni, il tratti somatici (ed economici) del centro.

Federico Butti, dal punto vendita dell’omonima catena di boutique, ha potuto osservare la lenta trasformazione che ha investito l’area negli ultimi anni, all’aprire di un numero crescente di negozi e pizzerie in franchising: “La differenza tra la vecchia via Luini e quella di oggi è la stessa che corre tra Villa d’Este e un Bed and Breakfast – spiega Butti, riferendosi ai nuovi negozi rivolti a un consumatore con un poter d’acquisto quantomeno popolare – le catene di food e di abbigliamento attraggono consumatori che, pur riempiendo la via, non vengono a comprare da noi”.

Butti auspica un maggior equilibrio tra tradizione e innovazione. Ma la vera questione prima ancora di un fatto di concorrenza, riguarda il prestigio della via: “I franchising hanno portato un elemento di volgarità. Poi, per quanto ci riguarda manteniamo la qualità della nostra merce e del servizio: l’unica vera garanzia, oggigiorno”.

Poco distante, da Seveso, le vetrine sono tappezzate di manifesti di una svendita. Si libera la boutique in vista di una ristrutturazione. Qui, il cambiamento portato dagli store monomarca, come ci conferma Matteo Seveso, giovane erede della famiglia di commercianti, ha intaccato soprattutto l’identità della via: “Qualche settimana fa ero a Verona dove una qualsiasi via del centro storico poteva essere via Vittorio Emanuele o via Luini di Como”.

La progressiva perdita di carattere, secondo Seveso, ha generato l’abbassamento di livello della clientela descritto da Butti: “Grazie alla fast-fashion, il pubblico pretende belle cose a poco prezzo”. Ulteriori insidie sono poi tese dal commercio online che si è preso un’ampia fetta di mercato e contro il quale Seveso si difende come può: “Vietiamo le foto nel negozio. Alcuni fotografano i vestiti per poi recuperarli su internet, a prezzi più bassi”.

Altro settore, stessa amarezza per Marco Siddi, titolare di Scotti Giocattoli, che nel cambiamento di via Luini vede una sorta di tempesta perfetta che colpisce i commercianti. “Non siamo tutelati contro questo tipo di evoluzione. Da una parte gli affitti diventano molto alti grazie alla presenza dei monomarca e, dall’altra, le persone continuano a comprare online per risparmiare.

Chi possiede i locali, paradossalmente, guadagna di più affittando ai franchising che con la propria attività. Di questo passo, tenere aperto in via Luini sarà sempre più difficile. Senza poi contare l’appiattimento della diversità del centro storico. Rimarremo con un sacco di mutande e poi?”.

Allontanandosi dalle storiche boutique e parlando con chi ha fatto della gastronomia il proprio mestiere, vedere i nuovi store in centro storico è agrodolce. Per Giuseppe Bizzotto, titolare dell’enoteca Da Gigi, la nuova pelle di via Luini è, sì, un dispiacere: “Un tempo era un centro commerciale naturale, con tutto quello di cui c’era bisogno: dal macellaio all’ortofrutta, fino al calzolaio e al negozio di abbigliamento. Oggi è solo abbigliamento”.

Ma il flusso di persone attratte dai nuovi negozi è, commercialmente, l’ottimo risvolto dell’invasione dei franchising: “L’unico lato positivo è che il passaggio di clienti, che è aumentato molto”.

Anche per Maurizio Casati, uno dei fratelli dietro alle caffetterie Luisita, i sentimenti sono misti: “Anche noi, nel 1988, quando abbiamo aperto in via Luini, eravamo guardati con sospetto.

Le attività di una volta stanno scomparendo e spiace. Sono amici. Però, mettendo tutto in prospettiva, il numero di persone attirate dai negozi fa lavorare bene chi serve cibo”.

Per Casati, il conflitto si riassume nelle reazioni dei commercianti allo spettro che si aggira per il centro: l’apertura di Zara: “Chi vende vestiti si oppone. Altri avrebbero molto da guadagnare dai clienti in arrivo”.

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2 Commenti

  1. È curioso come, a seconda delle circostanze, il “popolo” assume una connotazione diversa: il popolo sovrano esaltato dal capo popolo travestito da popolano, il popolo che compra prodotti di bassa qualità dalle catene commerciali che operano nel mass market distruggendo le boutique del centro e ammorbando con il suo cattivo gusto il mercato dei prodotti di qualità.
    Il problema non sono le catene di negozi. Il problema è che non esiste più il “ceto medio alto” che negli anni passati ha fatto la fortuna dei negozi del centro di Como.
    Esistono sempre meno ricchi che comprano nei negozi di lusso e sempre più poveri che guardano le belle vetrine e comprano dove costa poco…..
    Anche se abbiamo conquistato il “colletto bianco” siamo rimasti popolo perché siamo sempre più distanti da chi è ricco davvero. Questo è il vero problema!

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