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satira

Sorrisi, “frusta” e campane: la notte di Elena Maspero, da fatina a domatrice d’aula

Un po’ di scetticismo, oggettivamente, c’era.

D’altronde, gli ingredienti per una serata col brivido abbondavano. La delibera sulla Ticosa, innanzitutto. Importante in sé, ma soprattutto vero mostro di carta che avrebbe impressionato chiunque con le sue pelose braccia legali e quelle gambe dalle vene cavillose.

Poi c’erano le trincee sicuramente nemiche: in una era annidato il terrore di ogni presidente del consiglio comunale, Alessandro Rapinese il Terribile. Ma in genere, tutta l’aula era disseminata di buche e buchette ricolme di bombe, bombette e soprattutto miccette. Dalle parti di Pd e Svolta Civica, più o meno.

Infine, c’era il venticello gelido che spirava sul palazzo dalla notte precedente, con quel flopposissimo “tutti a casa” anzitempo causa assenza numero legale. Non il clima migliore, insomma, per una fine luglio in consiglio comunale.

Eppure, il fato cinico e baro lunedì notte aveva chiamato proprio lei, la fatina silenziosa, a gestire questo popo’ di sceneggiatura thriller. La fatina all’improvviso: titolo da commediola a stelle strisce o da Pieraccionata qualunque.
Anna Veronelli in vacanza, deposto pro tempore il phonatissimo scettro, la notte delle notti aveva dunque prescelto lei per troneggiare la seduta: la vicepresidente Elena Maspero.

Ventinove anni, laurea in giurisprudenza, presenza gentile tra i banchi municipali tramite abbraccione baffuto detto “Insieme per Landriscina”, un fidanzato medaglia civile ad honorem per l’imperturbabile serenità con cui – causa sentimento, si presume – si autoinfligge intere, devastanti, apocalittiche sedute di consiglio comunale assiso laggiù, tra il pubblico, mentre una trentina di sconosciuti si azzuffa sull’Eterna Costruzione del Nulla. Eroico.

Ma torniamo al punto. Rapìta di colpo al consueto silenzio da seconda fila, strappata alla guardianìa dei compagni di civica – Franco “Arte e Doppiopetto” Brenna e Sabrina “Samba” Del Prete – l’Elenina pare sia arrivata un poco tesa ma preparatissima.

Foglietti, post it, consulenze volanti, appunti, strategie para-tibetane di suono della campana.

Si temeva a mezza bocca, d’altro canto, che nella serata-torcida, le sue gentilezze, quell’educazione d’antan, un po’ d’inesperienza e i mefistofelici agguati dei Machiavelli di quartiere potessero creare (e crearle) più d’un problema nell’addomesticazione di una belva chiamata Consiglio.

E com’è andata, invece?

Così: scaldate le corde vocali con qualche flautato appello generico, Maspero ha aperto i recinti del rodeo alle 20.30 puntuali. I tori, dopo qualche passo incerto, si sono scatenati nella danza eroticosa degli emendamenti in latex, dei sottoemendamenti in tacco 12, del cavillo mordicchioso.

Sciabole, fioretti, sciabolate morbide alla Piccinini: un turbinio ticosico di affondi, contraffondi e sbadigli si è impossessato dei consiglieri in attesa dell’esorcismo noto come voto. Ma ecco, proprio nel cuore della Corrida, la rivelazione.
Una Maspero da sbigottire persino i premurosi familiari – pudicamente affacciati in sala giusto per riempirsi due minuti gli occhi e il cuore di quella figlia là in fondo, alla cattedra, piccola imperatrice del palazzo – ha preso confidenza. Smessi i panni gialli della Titti capitata per caso, la presidente per una notte ha indossato il tutone militare.

Cambiata la suoneria interiore da “Cinguettio” a “Tre Tenori”, in un vortice di potere rosa Maspero ha preso a zittire consiglieri, stoppare surreali psyco-zuffe, dare e togliere parole come un vigile politico, qualcuno sostiene persino a moltiplicare pani e delibere.

Ma soprattutto si è impossessata della campana sul bancone, che ha preso a rintoccare con implacabile frequenza a scandire ogni passaggio, ogni fase calda, ogni momento clou. Moderna Fra’ Martina tra le mura di palazzo.

A quel punto, in un’aula trasformata nella succursale del Big Ben, un ordine mostruosamente irreale ha irretito anche i più focosi istinti consiliari, spento gli eccessi, incanalato il treno Ticosa verso un voto persino senza pathos, alla fine.

Fine serata. Un’orda barbara ma educatissima – dopo un rispettosissimo omaggio a microfono persino di Rapinese il Terribile – ha riversato sulla novella “presidenta campanara” una valanga di complimenti, strette di mano, sorrisi tanto larghi che a più d’uno sarebbe occorso un emendamento al palato per mostrare tutti i denti.
Infine, tutti a casa. In orario. Con la Ticosa già lontana. E la fatina calibro 12 pronta riporre il phonatissimo scettro nelle mani della proprietaria.

Forse.

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