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Cuori, chiacchiere e lattuga. L’altro mercato coperto, antico teatro di Como

Andare al mercato in una giornata infrasettimanale è un gesto di un’altra epoca, quasi rivoluzionario. La folla di pensionati che incede lentamente tra i banchi, il crepitio di sacchetti di carta marrone che si chiude attorno a frutta e verdura, i consigli per gli acquisti che i venditori riservano ai clienti più fedeli; gesti antichi che ostinatamente sopravvivono, mentre altrove clienti con molta fretta e poco tempo per le chiacchiere scivolano oltre l’orizzonte degli eventi della grande distribuzione.

“Una volta stavo consigliando a una cliente come fare i carciofi che le avevo appena venduto – racconta Rita Anzani che, con il marito Giorgio manda avanti un banco ortofrutta ereditato nel 1979 – Quella mi ha guardato spazientita e mi ha dato della chiacchierona. Chiacchierona?! A quel punto le ho detto che se non avessi voluto parlare con le mie clienti sarei andata a lavorare in un supermercato a parlare con gli scaffali”.

In un negozio poco distante, Francesco Napolitano fa il macellaio da quando aveva cinque anni: “Noi siamo quello che è rimasto dei negozi di una volta. Oltre alla qualità e al prezzo, i nostri clienti sono amici. Mentre in un centro commerciale si riduce tutto a un grazie e arrivederci. Ma loro hanno i parcheggi e noi no, quindi si prendono più clienti”.

Per quanto possa far sorridere, la costante battaglia esistenziale tra commercio al dettaglio e supermercati si consuma senza esclusione di colpi e viene riprodotta nella mitologia personale di ogni venditore. Giorgio Anzani, il marito di Rita, racconta come le cose sono gradualmente cambiate negli anni. “Un tempo le persone che venivano a comprare erano molte di più. Alla fine della giornata riuscivamo a svuotare il banco. Oggi ovviamente i carichi non sono più quelli di una volta. Compriamo meno perché vendiamo meno”.

Altri alla malinconia preferiscono la fierezza, come Franco Bridarolli, 38 anni di fiero servizio dietro al banco, che mi porge metà di un kiwi la cui polpa dal verde sfuma nel rosso: “Questo non lo trovi al supermercato, fidati”.
Anche per Franco la storia del mercato si divide due momenti: prima e dopo la grande distribuzione. “Oggi viviamo con la clientela fissa che viene qui sulla fiducia, trova quello di cui ha bisogno, non butta nulla. Chi viene da noi è chi si intende di cibo ed è un cultore del mangiar bene”.

Osservando la demografia della clientela c’è qualcosa che colpisce. L’assenza di persone sotto i cinquant’anni è pressoché totale. Eppure, in molti paesi stranieri, le nuove tendenze in fatto di mangiar sano hanno rivitalizzato antichi mercati rionali, attraendo grandi masse di giovani.

Un esempio su tutti è Borough Market a Londra che, dato per fallito, ha ripreso le attività in grande stile negli anni ‘90, nel pieno boom del biologico. Oggi è uno dei posti migliori non solo per comprare prodotti freschi ma anche per cenare e passare la serata. La rinascita del mercato di Como sembra ugualmente legata al modo in cui le nuove generazioni vivono le proprie vite – sempre di fretta, si sente spesso dire dai rivenditori.

“In quel caso è ovvio che si preferisca andare al supermercato – racconta ancora Rita Anzani – poi però ci sono quei giovani che vengono con la borsa di tela, sanno quello che vogliono e vedi che ne davvero si interessano a quello che mangiano”.

Rita e Giorgio Anzani andranno in pensione presto. Il figlio, ingegnere, non prenderà il posto dei genitori, confermando quello che si intuisce guardando i gestori dei banchi. Il passato appartiene a chi ha trenta o quarant’anni di servizio alle spalle. Il presente dell’attività è lasciata a una generazione disillusa e senza eredi tra i quaranta e i cinquant’anni che pur avendo provato a rilanciare il mercato non c’è riuscita e sta per perdere la speranza, tra pastoie fiscali che si mangiano i profitti e una struttura che per molti non è all’altezza. Onestamente non voglio dire un granchè perchè sto cercando di vendere e andarmene da qui. Sto vedendo di trovare un posto in Svizzera non come proprietario ma come dipendente – spiega Luca Argenti – Tentare di lavorare qui è fin troppo difficile”.
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Eppure le idee ci sono ancora: “Il punto non è neanche vedersela con la grande distribuzione. Bisognerebbe staccarsi completamente da quell’idea e offrire qualcosa di diverso”, spiega Luca Bellotti, proprietario di un banco ortofrutta, mentre ci porta a vedere il padiglione del mercato ristrutturato nel 2015 dalla giunta Lucini e che doveva ospitare nuove botteghe e locali in grado di rinnovare l’offerta tradizionale dell’ortofrutta.

Oltre gli spessi vetri impolverati, come in un acquario, il padiglione nuovo rimane vuoto, ponendo delle domande sul perché di una ristrutturazione di locali poi rimasti inutilizzati.
Secondo Bellotti, il lavoro è fatto al 70% e richiederebbe altrettanti fondi per essere terminato e rilanciato: “l’obiettivo dovrebbe essere quello di trasformarsi anche in un mercato turistico, come hanno fatto all’estero. Il potenziale ci sarebbe ma non c’è un piano specifico a lungo termine. Il tutto si risolve in venditori che tirano la pensione, senza avere un ricambio generazionale. Io stesso non consiglierei ai miei figli di prendere il mio posto”.

Basta poco, qualche ora passata tra le pile di peperoni rossi e gialli impilati con cura, tra i banchi frigo ronzanti delle macellerie e i cesti di legumi, per rendersi conto della stanchezza generale di chi fa un lavoro duro, tutto l’anno, da tanti anni, in locali freddi, aspettando la pensione o cercando di cambiare le cose.

Eppure, forse, il cambiamento non deve essere forzoso. A dimostrarlo è Valerio Zappa, un ragazzo alto e sorridente di appena vent’anni, diplomato alla Fondazione Minoprio. Sostituisce un collega a Como ma, insieme alla cooperativa sociale Si può Fare!, coltiva verdura di stagione e vende a chilometro zero al mercato di Rebbio. “Da sempre sono interessato al verde e alla natura – racconta il ragazzo, mostrando con fierezza le varietà di verdure sul suo banco, infagottato in piumino grigio – “Lavorare la terra e venderne i frutti è dura ma trovare un lavoro chiuso tutto il giorno in una stanza non avrebbe avuto senso”.

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