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Desaparecidos: il disastro di Forza Italia in una foto (che pare scattata da Butti e Molteni)

Per lucidità e determinazione, il progetto di suicidio politico di Forza Italia tramite una corda al collo chiamata Fratelli d’Italia è semplicemente straordinario, perfetto, da manuale della politica. E Como – che a dispetto delle tante autoflagellazioni è spesso laboratorio d’avanguardia – offre ancora una volta un riferimento di carattere e valore molto più che provinciale.

Per capire meglio, però, bisogna tornare indietro di qualche mese. E tenere a mente due date: l’11 giugno 2017 e poi il fatale 4 marzo 2018.

Nell’estate di un anno e mezzo fa – ambito centrodestra vittorioso – Forza Italia alle comunali di Como città riuscì ancora a cogliere un discreto 11,2% che la collocò al primo posto tra i partiti della coalizione. Ormai lontanissimi i tempi in cui Silvio Berlusconi portava gli azzurri a superare largamente il 30%, aver tenuto dietro la Lega crescente (10,06%), la civica del sindaco (8,9%) e aver preso più del doppio di Fratelli d’Italia (4,6%) fu un un risultato lusinghiero in rapporto ai tempi (meno rispetto al fenomenale 22,5 di Alessandro Rapinese, ma tant’è: 6 consiglieri forzisti e 2 assessori in giunta furono un buon bottino davvero nel tramonto del berlusconismo).

Fulvio Anzaldo (a sinistra) e Alessandro Rapinese

Passiamo di netto a 9 mesi dopo. E concentriamoci sulle elezioni politiche (dati Camera). Ma non soltanto sui risultati di Como città (Forza Italia al 13.5, FdI al 5.5, Lega al 23, Pd primo partito al 24), quanto sulle candidature espresse in generale su tutto il territorio dalle forze del centrodestra.

La Lega puntò su comaschi doc (Alessandra Locatelli), erbesi doc (Eugenio Zoffili, Erika Rivolta), canturini ultradoc (Nicola Molteni) e un forestiero acquisito che comunque siede in consiglio comunale nel capoluogo (Claudio Borghi).

Fratelli d’Italia – manco a dirlo – si giocò il suo totem maximo (Alessio Butti), e persino il Pd puntò il nome più locale-nazionale in suo possesso, Chiara Braga. Tutte scommesse vincenti e infatti vinte.
E Forza Italia? Precipitò in provincia tre alieni con il paracadute: Laura Ravetto, Licia Ronzulli e Adriano Galliani. Nomi belli e potenti. Ma venuti da Marte, senza alcuna radice o frequentazione locale. E soprattutto, autentici desaparecidos dal giorno dopo l’elezione in Parlamento. Spariti, dissolti.

Spiace quasi che nella stessa foto-simbolo (l’unica, non casualmente, tutti assieme) compaia anche l’unico vero pilastro attuale degli azzurri comaschi, Alessandro Fermi.

Ma giunti fin qui, qual è il nesso con l’assunto di partenza, cioè l’anello che si chiude nell’autodistruzione di queste ore del pianeta forzista?

Facile, facile: la fumosa crisi politica in corso a Como città. Crisi che – spinta all’estremo proprio dai forzisti con l’iniziale ritiro dalla giunta dei 2 assessori – ha visto finire la parabola azzurra con la perdita per strada di 2 consiglieri comunali (l’ex capogruppo Tony Tufano più la consigliera Antonella Patera passata a FdI) e la sparizione totale dall’esecutivo del capoluogo tra dimissioni (Amelia Locatelli) cambi di casacca (Franco Pettignano, transitato ai Fratelli) e postumi annunci riparatori quando ormai i buoi erano scappati (qui il comunicato di ieri).

Questo mentre Giorgia Meloni affidava al comaschissimo Alessio Butti la regia locale delle vicende di Palazzo Cernezzi in parallelo al succoso ampliamento nazionale dei confini del partito proprio a discapito dei forzisti (vedasi il patto Santanché-Mario Mantovani o il recente ritorno “a casa” della Destra di Storace).

E mentre la Lega, grazie ai suoi feldmarescialli (Nicola Molteni su tutti, ma in genere tutti gli iperattivi parlamentari comaschi), saldava il conto con gli elettori, ad esempio, con la chiusura del centro migranti.

Insomma, nei giorni in cui l’asse Roma-Como portava frutti e risultati agli alleati, Forza Italia, senza alcun riferimento diretto e senza alcun alto graduato romano a cui rivolgersi o minimamente interessato delle faccende “spicciole” comasche, si gettava senza guida né costrutto in una baruffa autolesionista sia per l’immagine, sia , come abbiamo visto, per la consistenza stessa, già fragile, del partito in provincia.

E così, mentre partendo da poco più del 4% Fratelli d’Italia rimpolpa le sue truppe un po’ dappertutto sul territorio, mentre la Lega sfrutta il vento salviniano e si manifesta con i suoi big in piazze, paesi e sagre, il “fu” partito di Berlusconi, l’invicibile armata che tra ’94 e 2012 mieteva voti e consensi tra doppiopetti e cravatte a pois, resta a mezz’aria, sospesa, senza leader capitolini, timone né identità precise. Incerta e vacillante tra i flutti di un lago mai così lontano da Montecitorio, Arcore e Palazzo Madama.

Vien da dire che, in periodo di anniversari ’15-’18 e citando il comandante supremo Armando Diaz, i resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza.

E in queste condizioni è difficile, se non utopistico, ipotizzarne una nuova calata sul Comasco.

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